Ingólf Arnarson. Dramma epico in versi liberi
di Emanuele Marcuccio
Breve introduzione a cura dell’Autore
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Un dramma epico[1] in versi liberi, in un prologo e cinque atti ambientato in Islanda ai tempi della colonizzazione e intitolato, Ingólf Arnarson[2]. Si tratta di un lavoro lungo, frutto di un’attenta ricerca storiografica, che ho seguito dal 1990. Il dramma, pur partendo da alcuni episodi storici documentati[3], sviluppa una trama che è prevalentemente fantastica e che non ha, dunque, nessuna pretesa di carattere cronachistico. Ingólf Arnason (norreno Ingólfr, islandese moderno Ingólfur), da cui prende il nome l’intera opera, è un personaggio storico-leggendario del folclore islandese mentre gli altri sono frutto della mia invenzione. I loro nomi sono stati ricavati direttamente dall’onomastica islandese (lingua che non conosco ma sulla quale mi sono documentato).
Nel dramma mi sono servito di una mia personale e astorica presenza in Islanda di popolazioni indigene di stirpe germanica, di credenza pagana e prossime alla conversione al cristianesimo, alle quali ho contrapposto, di volta in volta, i normanni[4] (o i vichinghi) ossia gli uomini del nord (norsemenn), i norvegesi che furono grandi colonizzatori del nord Europa, di fede pagana. Si tratta, ovviamente, di una mia scelta utilizzata per la caratterizzazione dei personaggi che non è motivata da fondamenti culturali-letterari né storici-documentatistici.
Nell'opera chiamo l’Islanda con l’antico nome di “Thule”, in riferimento al suo primo scopritore, l’esploratore, astronomo e geografo greco Pitea di Marsiglia (380 - 310 ca. a.C.) che, secondo la tradizione, scoprì l’isola durante un viaggio di esplorazione dell’Europa nord occidentale, intorno al 325 a.C.
La decisione di ambientare un dramma in Islanda, genere letterario inedito nella mia produzione, è scaturita dalla fascinazione verso questo paese nata dalla visione di una brochure con meravigliosi paesaggi di quel paese. Mi sono documentato su quella realtà e ho letto l’interessante racconto ottocentesco, Viaggio nell’interno dell’Islanda di Natale Nogaret. A partire dal maggio 1990 ho iniziato la stesura del dramma in versi liberi che, ho completato il 19 aprile 2016: un totale di 2380 versi con un lavoro di ben diciannove anni escludendo i sette complessivi di interruzione, cesellando il verso, sempre alla ricerca della migliore musicalità e fluidità nel ritmo, nella cadenza e alla lettura. Versi liberi e non certo anarchici, versi di varia lunghezza, sorretti da una diversa metrica, costituita non dal numero delle sillabe o dalla rima, ma da assonanze, consonanze, figure di suono e dalle necessarie figure retoriche. Con tutto il rispetto per i grandi poeti della nostra letteratura, i quali, fino all'Ottocento hanno fatto largo uso di metrica quantitativa, al punto da comprendere che il suo impiego non era più necessario. E se nella poesia tout court, dal gennaio 2013 ho abbandonato la punteggiatura, sempre alla ricerca di una maggiore sintesi ed essenzialità, nella poesia del dramma non mi è stato possibile farlo, in quanto lo ha richiesto l'ars narrandi, la quale ha dovuto sottostare al dolce giogo dell'ars poetandi.
La poesia fa parte del mio essere, la prosa non è nelle mie corde (preferisco leggerla), non riuscirei mai a scrivere un racconto, né un romanzo. Ho scelto quindi il teatro e un dramma in versi liberi per cercare di esprimere la mia vena narrativa e, al contempo, continuare a cercare di esprimere la poesia che il cuore mi detta.
Benché in molti mi abbiano espresso perplessità sulla difficoltà dell’opera sono estremamente contento che un caro amico compositore si sia gentilmente offerto di scrivere le musiche di scena per questa mia opera teatrale. Anzi, alla fine del 2015 un critico letterario ha deciso di lavorare a un saggio monografico sul dramma in versi, che ha completato a dicembre 2016. E la pittrice Alberta Marchi ha realizzato un dipinto ispirato al dramma, che ho scelto come immagine per la copertina.
Il dramma è stato pubblicato il 28 agosto 2017 per i tipi della marchigiana Le Mezzelane Casa Editrice, nella collana di Poesia "Ballate". La prefazione è a cura dello scrittore e critico letterario Lorenzo Spurio che attendeva fin dal 2011 che lo completassi; come postfazione, d’accordo con Lucia Bonanni, ho scelto il penultimo capitolo (“Una introduzione alla drammaturgia dell’Ingólf Arnarson”) del suo inedito saggio monografico, che pubblicherà prossimamente; impreziosisce il tutto una nota storica a cura del Prof. Marcello Meli, ordinario di Filologia germanica presso l’università di Padova e una quarta di copertina a cura del critico letterario e poetessa Francesca Luzzio.
Emanuele Marcuccio
(Aggiornata al 1 settembre 2017)
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[1] «Nell’autore c’era anche la volontà di poter ascrivere il suo lavoro a un dato filone o categoria letteraria a partire dalle forme e dalle strutture che lo caratterizzassero. Se inizialmente l’autore definì l’opera poema drammatico, con una maggiore riflessione, e portando esempi concreti di questo genere di opera con le necessarie divergenze dal suo manoscritto, ha pensato che forse la definizione più consona e pregnante - sebbene abbastanza verbosa - fosse quella di dramma epico in versi liberi. L’intenzione era stata quella di privilegiare nella catalogazione in un genere non solo il contenuto (l’epica) ma anche la forma (quella teatrale, appunto, di un dramma).» (dalla Prefazione di Lorenzo Spurio a Emanuele Marcuccio, Ingólf Arnarson - Dramma epico in versi liberi. Un Prologo e cinque atti, Santa Maria Nuova (AN), Le Mezzelane, 2017, p. 27).
[2] Su suggerimento del linguista e antropologo, Dario Giansanti, direttore e fondatore del progetto “Bifröst”, ho preferito utilizzare la lezione onomastica dell’islandese antico Ingólf, filologicamente più corretta, piuttosto che quella moderna di Ingólfur. Sempre su suo suggerimento i nomi norreni sono stati semplificati eliminando, dove possibile, la desinenza (-r) del nominativo singolare.
[3] I riferimenti storici presenti nel dramma sono: la colonizzazione dell’Islanda, con approdo nella baia dell’attuale Reykjavík (874 ca. d.C.); l’insediamento eremitico dei papar, monaci irlandesi (inizio del IX sec.) e la fitta vegetazione islandese di salici e betulle, in seguito scomparsa, per la costruzione navale, la forte presenza di pecore e l’edilizia.
[4] Il termine “normanni” è inteso solo in senso etimologico, come uomini nordici (civilizzati), non in senso storico, differenziandoli dai vichinghi che sono pirati e selvaggi (barbari).